E’ da un paio di settimane che mi ritrovo a parlare
delle mete dell’estate 2013. Facendo una breve statistica ho notato che le più
papabili sono Grecia e Baleari (ma dai? Formentera e Mykonos? Non me lo sarei
mai immaginato!) seguite a ruota dalla new
entry Canarie e dalle immancabili New York, Miami e Messico.
In realtà sto parecchio sponsorizzando il Messico,
perché è la giusta combinazione di relax, divertimento e cultura. Relax perché
villaggi, case in fitto e hotel incarnano il mito della siesta messicana, divertimento perché i messicani dopo il pisolino pensano
solo a divertirsi e cultura per la moltitudine di siti archeologici, bellezze
naturali e civiltà antiche presenti in tutto il territorio. E’ un viaggio per
tutti: famiglie, gruppi di amici, coppie ed è impossibile annoiarsi. So
perfettamente che girare tutto il Messico è impresa ardua da compiere in una
sola volta, ma cominciare da una piccola parte non sarebbe male.
Io e l’immancabile Cary Grant abbiamo visitato la penisola dello Yucatan nel 2009. Quelli
con una buona dose di fosforo nel cervello ricorderanno che quello fu l’anno in
cui impazzava l’influenza suina (ossia il virus trasmesso dai maiali all’uomo)
e magari immagineranno due poveracci braccati in casa con in testa una
nuvoletta tossica in stile Fantozzi. Errore (mira el dito)! L’H1N1 era una
influenza partita da Città del Messico - quindi lontana kilometri e kilometri
da dove mi trovavo con Cary - che fu incredibilmente ingigantita dalla tv. Con ciò
non voglio dire che questa influenza era da prendere alla leggera, ma che forse
i media avevano ingigantito troppo il fenomeno (per la gioia delle case
farmaceutiche) e che nel posto dove io e Cary soggiornavamo non c’era nessun pericolo.
Il problema vero fu riscontrato dalla popolazione messicana che vide improvvisamente
scomparire il turismo (soprattutto di matrice europea) cosa che, per
un’economia che vive di turismo, si rivelò fatale. Detto ciò, era facilmente
comprensibile che l’accoglienza dei messicani nei confronti dei pochi turisti
europei presenti all’epoca fosse ancora più calorosa.
Dati i presupposti di cui sopra e gli allarmismi
prima della partenza, riuscimmo a trovare un’ottima offerta in un villaggio
della Riviera Maya, nello stato del Quintana Roo. Si rivelò una grande
scelta perché è il posto ideale per la siesta e la base adatta per le
escursioni (a soli 10 minuti dal sito di Tulum),
inoltre è accogliente, grazie ai suoi ampi spazi e alle sue calde tinte, e può
contare su una delle spiagge più belle del mare caraibico.
Passammo i primi due giorni all’insegna del relax
più totale, poiché entrambi provenivamo da un periodo lavorativo abbastanza
pesante: ci godemmo il sole e il mare in compagnia di fantastici cocktail in
riva al mare e gustosissimi manicaretti messicani - se vi può interessare, ho
ampiamente parlato della cucina messicana in questo post.
Verso sera andavamo in centro a Playa Del Carmen, un ex villaggio di pescatori sviluppatosi
notevolmente nell’arco di quest’ultimo decennio. Playa è il centro di
divertimento per eccellenza; a sera i ragazzi si riversano in città, in
particolare sulla Quinta Avenida, dove
ci sono bar, locali, negozi, centri commerciali, noleggio auto e guide per
organizzare escursioni. Sulla Quinta Avenida sorge il famosissimo Coco Bongo Club, locale notturno di
grande successo nel quale si può assistere a uno degli spettacoli più
divertenti di sempre e del quale ho parlato ampiamente qui.
Il terzo giorno, ormai saturi di palme di cocco e
ombrellini da cocktail, partimmo alla volta di Isla Mujeres dove facemmo snorkeling
a largo di una barriera corallina e nuotammo in mezzo a razze e pesci
colorati. Cary avvistò anche un barracuda e riuscì con fermezza a cambiare
direzione senza farsi prendere dal panico – non chiedetemi come abbia fatto a
non dare di matto perché io me lo sto ancora chiedendo – Girammo un po’
l’isola, visitammo qualche mercatino e facemmo amicizia con un gruppo di
italiani che si erano trasferiti lì per lavorare (idea che mi allettava
parecchio, ma… Beh, se fosse per me, mi trasferirei in ogni posto che visito).
Poi fu la volta di Isla Contoy, un
vero e proprio paradiso terrestre abitato da aironi, paguri e immancabili
iguane.
Quest’isola è un Parque Naciónal al quale hanno
accesso solo turisti con regolare permesso e ovviamente i biologi
dell’osservatorio. La parte nord dell’isola è rocciosa, selvaggia e il mare è
mosso, mentre quella sud è sabbiosa e le acque sono calmissime. I colori sono
unici e irripetibili, come anche il cibo preparatoci da alcuni simpatici
messicani con i quali ci è facile stringere amicizia.
I gironi successivi visitammo
il sito archeologico di Cobà e la piramide di Chichén Itzá, ma questa è
un’avventura che merita un paragrafo a parte, quindi vi do appuntamento al
prossimo post. Hasta luego amigos.
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